Un Fiore di Montagna.

Scritto da Zeferino Siani. Pubblicato in CULTURA

Salerno - Domenica, 24 novembre 2019

Fiore di montagna Alle prime luci del mattino, io e mio suocero risalimmo faticosamente da quel gelido ed oscuro vallone degli Alburni, dove - contrariamente a quanto assicuratoci dai locali - non avevamo incontrato nemmeno l'ombra di un cinghiale. 
Giungemmo alla fine ad uno spiazzo aperto, riparato a nord dai venti da un costone roccioso, e ricoperto da uno spesso manto d'erba, su cui facevano ombra alcuni alberelli, sparsi qua e là: ci sembrò di essere arrivati al centro dell' Eden. 

"Mi sembra un posto adatto per riposare un poco!" - disse mio suocero, sedendosi e appoggiandosi stancamente al tronco di un alberello. Non risposi, ma manifestai il mio completo assenso sistemandomi anch'io ad un altro alberello, poco distante dal suo.
Apro una breve parentesi su mio suocero, che da parecchi anni non c' è più, e che per me è stato molto di più di un suocero: un grande amico, e un secondo padre. Era intanto un uomo molto forte e deciso, cui piaceva molto la montagna, e la natura in genere, e che amava i libri di viaggi ed esplorazioni.

Amava la natura, rispettandola. Sapevo che il suo sogno era quello di poter fare un viaggio in Africa, in particolare nel Safari. Gli piacevano i racconti di caccia, e scrittori come Hemingway. Ricordo che la sera prima di morire, cominciai a parlare con lui del viaggio in Africa che avevamo progettato di fare assieme, e quando smisi di parlare lui stette un poco in silenzio, e poi gentilmente mi disse: "Per favore, Zeferino. Parlamene ancora!" Questo era mio suocero!

Ebbene, stavamo lì seduti ed immobili, senza parlare, cercando di recuperare le nostre forze, e guardavamo attorno le cime innevate dei monti, e giù le casette colorate e i campi coltivati e i sentieri serpeggianti dolcemente fino alle ultime propaggini della valle, velate in lontananza da una tenue nebbia.
Poi una cosa attrasse improvvisamente la mia attenzione: un fiore di montagna, che stava dritto e superbo e bellissimo sul suo stelo, vibrando ad ogni alito di vento. Mi chiesi, meravigliato, come avessi fatto a non accorgermene prima! 
C'era tutt'intorno una grande serenità e leggerezza, a cui entrambi non opponevamo alcuna resistenza, lasciandocene impossessare per ogni fibra del nostro corpo. Da dove stavamo, si godeva un'ottima vista; ma anche, e regolarmente, il mio sguardo tornava a posarsi su quel fiore, che mi sembrava sempre più bello! E man mano che la stanchezza abbandonava il mio corpo, sentivo crescere in me un impulso irresistibile a impossessarmene, a coglierlo, per poterlo rimirare da vicino tra le mie mani.
Considerai allora la possibilità di poterlo raggiungere, ma la cosa non sembrava affatto facile: il fiore stava parecchio in alto, ben oltre dove, anche protendendo il mio braccio per tutta la sua lunghezza, sarei potuto arrivare ... E d' altra parte il costone offriva ben pochi appigli. Ma ormai avevo deciso, e niente mi avrebbe fatto cambiare idea.

"Vado a cogliere quel fiore!", dissi. Fu così che allora, sotto lo sguardo divertito di mio suocero, che comunque mi raccomandava a più riprese di stare attento a non rompermi l'osso del collo, mi accinsi alla piccola scalata a mani libere.

Stremato dalla fatica e dalla tensione, trovai una posizione che mi consentiva, allungando il braccio, di poterlo cogliere; e stavo per farlo, ma all'ultimo istante sentii di nuovo la voce di mio suocero, che mi diceva: "Lascialo lì. E' così bello!"
Passarono brevi attimi di incertezza. Poi nella mia mente prevalse il significato pieno della esortazione di mio suocero: se lo avessi colto, lo avrei rigirato un poco tra le mani, ma, prima o poi, l' avrei buttato - insignificante e gualcito e mortificato - per terra ! Ed allora, pian piano, ridiscesi dal costone, lo rimirai  per un'ultima volta, e me ne dimenticai. 

Oggi, anziano, a tanti anni di distanza, se mi capita di fermarmi a guardare davanti alla vetrina di un fioraio le varietà esposte di fiori - rose rosse sgargianti a decine, eserciti di profumati piccoli garofani bianchi, e tulipani, e orchidee - mi capita di pensare ad una cosa assurda, impossibile: quel fiore di montagna sul costone roccioso, vibrante e fiero sul suo stelo, unico, per me è ancora lì. 

Zeferino 

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