I Sepolcri
“I Sepolcri” furono scritti dal poeta Ugo Foscolo tra l'estate e l'autunno del 1806, e pubblicati l' anno successivo, mentre era ospite della contessa Marzia Martinengo Provaglio, presso Palazzo Martinengo in Brescia centro.
Il componimento fu dedicato dal Poeta ad Ippolito Pindemonte, un letterato dell’ epoca, a seguito di una discussione nata con quest’ultimo in un salotto letterario relativamente all'editto di Saint Cloud, emanato da Napoleone nel giugno 1804 ed esteso al Regno d'Italia solo nel 1806, sulla regolamentazione delle pratiche sepolcrali. In base a questo editto, le tombe dovevano essere poste al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e arieggiati, e dovevano essere tutte uguali, per evitare discriminazioni tra i morti, fatta eccezione per i defunti illustri, per i quali invece era una commissione di magistrati a decidere se far incidere sulla tomba un epitaffio.
Ho ritenuto opportuno riportare nella presente sezione Genealogia alcuni passi scelti de “I Sepolcri”, perché nessun’ altro componimento poetico esprime meglio l’ importanza del culto dei morti.
In un altro articolo, parleremo poi della Genealogia come scienza che si occupa dell‘ accertamento e della ricostruzione documentale dei legami di parentela tra le famiglie, e specie dei propri antenati.
La struttura.
Nell'estratto che accompagna la "Lettera a Monsieur Guillon sulla sua incompetenza a giudicare i poeti italiani", il Foscolo fornisce la struttura quadripartita del carme: I (vv. I-90), II (91-150), III (151-212), IV (213-295).
Nella prima sezione, il Foscolo, che nella sua vita seguì i dettami filosofici del materialismo, di conseguenza dichiara l' inutilità pratica delle tombe sia per i vivi che per i morti; e però si chiede anche perché l'uomo debba togliersi l'illusione di vivere, anche dopo la morte, nel pensiero dei suoi cari, se il suo sepolcro sarà curato e onorato nella sua terra natale da chi è rimasto in vita.
Solamente coloro che morendo non lasciano affetti o rimpianti possono trarre poca gioia dalla tomba. E però l' editto di Santi Cloud toglie i sepolcri agli sguardi dei pietosi e tenta di strappare il nome ai morti: per questo motivo Parini giace senza tomba, ed ora, forse, le ossa del grande poeta si trovano nella desolata campagna mescolate a quelle di un ladro che ha scontato i suoi crimini sul patibolo.
Nella seconda sezione, il Foscolo rileva che gli uomini, iniziando ad istituire forme legali come le nozze, le leggi e la religione, diventarono civili e cominciarono a seppellire i morti e a considerare le tombe sacre.I morti non furono sempre seppelliti nelle chiese, in "cimiteri-pavimento", nelle cripte in cui il lezzo dei cadaveri contaminava gli incensi dei fedeli in preghiera; il terrore delle madri nel Medioevo nasceva dal timore che i congiunti defunti spaventassero nel sonno i loro figli, chiedendo la venal prece, la preghiera a pagamento che avrebbe potuto alleviare le loro pene ultraterrene.
Nella terza sezione, il Poeta fa rilevare che le tombe in un tempo più antico furono anche curate con alberi, fiori e lampade, e che i vivi indugiavano spesso a parlare con i cari estinti, nella pietosa illusione che ancor oggi rende piacevoli alle giovani inglesi i confortevoli cimiteri suburbani dove esse pregano i numi perché facciano ritornare in vita Nelson. In Italia, dove però non esiste più il desiderio di gesta eroiche e lo Stato è servo di chi comanda, le tombe sono inutile pompa, dove i dotti, i mercanti e i possidenti sono sepolti, ancora vivi, nei lussuosi palazzi, mentre il poeta desidera solamente una semplice tomba dove poter riposare in pace dopo aver lasciato agli amici una poesia libera.
Nella quarta sezione, si parla dei lunghi viaggi del giovane Pindemonte, che, avendo varcato l'Egeo, sentì dire che la marea aveva trasportato le armi gloriose di Achille, che erano state assegnate ingiustamente ad Ulisse, sopra la tomba di Aiace, dal momento che solo la morte è dispensatrice della gloria. E Foscolo, che è costretto a fuggire di gente in gente, spera che un giorno le Muse, che conservano la memoria dei defunti anche quando il tempo ne ha distrutto le tombe, lo chiamino ad evocare gli eroi.
Elettra, morendo, supplicò l'antico amante Giove di farla vivere nel ricordo dei posteri, facendo sorgere la sua tomba dove un giorno sorse Troia, e dove furono sepolti Ilo ed Erittonio, e anche Cassandra, che predisse la distruzione della città e insegnò ai nipoti un canto d'amore e di pietà nel quale li assicurava che, nelle rovine del centro, sarebbero rimaste in eterno le ombre degli eroi troiani nelle loro tombe, circondate e protette dagli alberi coltivati con lacrime e devozione. Alla fine del componimento, Cassandra evoca Omero stesso, i cui versi su Ettore saranno ricordati per sempre, finché il sole illuminerà le sciagure umane.
I Sepolcri
I (vv. I-90)
All'ombra de' cipressi e dentro l'urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro? Ove piú il Sole
per me alla terra non fecondi questa
bella d'erbe famiglia e d'animali,
e quando vaghe di lusinghe innanzi
a me non danzeran l'ore future,
né da te, dolce amico, udrò piú il verso
e la mesta armonia che lo governa,
né piú nel cor mi parlerà lo spirto
delle vergini Muse e dell'amore,
unico spirto a mia vita raminga,
qual fia ristoro a' dí perduti un sasso
che distingua le mie dalle infinite
ossa che in terra e in mar semina morte?
Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,
ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve
tutte cose l'obblío nella sua notte;
e una forza operosa le affatica
di moto in moto; e l'uomo e le sue tombe
e l'estreme sembianze e le reliquie
della terra e del ciel traveste il tempo.
Ma perché pria del tempo a sé il mortale
invidierà l'illusïon che spento
pur lo sofferma al limitar di Dite?
Non vive ei forse anche sotterra, quando
gli sarà muta l'armonia del giorno,
se può destarla con soavi cure
nella mente de' suoi? Celeste è questa
corrispondenza d'amorosi sensi,
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l'amico estinto
e l'estinto con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo
porgendo, sacre le reliquie renda
dall'insultar de' nembi e dal profano
piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli.
Sol chi non lascia eredità d'affetti
poca gioia ha dell'urna; e se pur mira
dopo l'esequie, errar vede il suo spirto
fra 'l compianto de' templi acherontei,
o ricovrarsi sotto le grandi ale
del perdono d'lddio: ma la sua polve
lascia alle ortiche di deserta gleba
ove né donna innamorata preghi,
né passeggier solingo oda il sospiro
che dal tumulo a noi manda Natura.
Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
fuor de' guardi pietosi, e il nome a' morti
contende. E senza tomba giace il tuo
sacerdote, o Talia, che a te cantando
nel suo povero tetto educò un lauro
con lungo amore, e t'appendea corone;
e tu gli ornavi del tuo riso i canti
che il lombardo pungean Sardanapalo,
cui solo è dolce il muggito de' buoi
che dagli antri abdüani e dal Ticino
lo fan d'ozi beato e di vivande.
O bella Musa, ove sei tu? Non sento
spirar l'ambrosia, indizio del tuo nume,
fra queste piante ov'io siedo e sospiro
il mio tetto materno. E tu venivi
e sorridevi a lui sotto quel tiglio
ch'or con dimesse frondi va fremendo
perché non copre, o Dea, l'urna del vecchio
cui già di calma era cortese e d'ombre.
Forse tu fra plebei tumuli guardi
vagolando, ove dorma il sacro capo
del tuo Parini? A lui non ombre pose
tra le sue mura la città, lasciva
d'evirati cantori allettatrice,
non pietra, non parola; e forse l'ossa
col mozzo capo gl'insanguina il ladro
che lasciò sul patibolo i delitti.